Nel mese di Novembre 2013 ho seguito il workshop “Fotografare l’architettura, rappresentare lo spazio” tenuto dall’architetto e fotografo Marco Introini e organizzato da “Fondazione Fotografia Modena” L’esperienza nel suo complesso mi è sembrata eccellente, ho provato grande piacere nel seguire il corso e nell'affrontare i temi proposti. Le immagini qui presentate sono il risultato di una delle sessioni del corso: tutto il lavoro si è svolto piuttosto velocemente (tre ore per la ripresa e due ore per la definizione ed elaborazione delle immagini): a sorpresa, il luogo di scatto è stato tenuto segreto fino all’ultimo, siamo stati portati in un quartiere residenziale modenese di recente costruzione nella parte sud della città.
Il quartiere si è subito presentato come un ambiente surreale, quasi metafisico, caratterizzato da grandi spazi, alcuni dei quali ancora irrisolti o comunque privi dell’aspetto tipico delle aree urbane ormai consolidate; pur essendo periferico è destinato ad abitanti di classe medio alta: diverse tipologie di edifici si ripetono analoghi nel grande spazio della lottizzazione generando straniamento e perdita dei punti di riferimento. Questo è dovuto anche al fatto che, a causa della sua costruzione, sono pochi i segni di personalizzazione apportati solitamente dagli abitanti (tende, arredi nei giardini, accessori sui balconi…) nonostante molti appartamenti appaiano chiaramente abitati.
Come spesso accade negli edifici degli ultimi decenni la gestione dell’automezzo privato ottiene grandi spazi (addirittura sproporzionati) sia per il movimento (strade, rotatorie, slarghi) che per la sosta: parcheggi sul lato strada (pubblici), parcheggi (privati) in piazzali protetti da barriere e autorimesse sotterranee dai grandi ingressi che (pur essendo entrate secondarie di servizio) sembrano per le loro dimensioni prevalere sui piccoli ingressi pedonali principali.
Proprio osservando questi elementi nei diversi edifici è emersa ancor più la ripetitività delle visuali offerte dal paesaggio costruito nel suo insieme, una ripetitività tale da permettere di individuare una stessa vista più volte addirittura specchiata pur trattandosi di immobili e punti di visione diversi. Da qui la creazione di questi tre surreali dittici.